Nel nostro Paese, la maggior parte degli edifici da ristrutturare fa parte del patrimonio immobiliare costruito nella seconda metà del Novecento. Ci sono però molti altri fabbricati che sono più antichi e legati alle nostre origini. Essi potrebbero essere recuperati e valorizzati perché rappresentano la storia architettonica e non solo dell’Italia. Si tratta di tipologie edilizie locali, diverse da Regione a Regione, spesso con un passato rurale e fortemente legate all’identità del territorio che le ospita.
Per alcune, forse presenti in numeri più alti e distribuite anche in territori più ampi (come il casale e la cucina), normative e costi di ristrutturazione sono difficili da stabilire, perché dipendono dai regolamenti comunali e regionali e dallo stato di conservazione dell’immobile. (ma questo vale in tutti i casi). Altri esempi, come i trulli pugliesi, i dammusi di Pantelleria o gli stazzi sardi, che sono propri di zone limitate, sono regolamentati in modo univoco allo scopo di preservarne e valorizzarne l’identità.
I lavori: restauro e risanamento conservativo
Nella maggior parte dei casi di recupero di questi fabbricati si tratta di opere di restauro e di risanamento conservativo, poiché è previsto il cambio di destinazione d’uso.
In questa tipologia sono compresi gli interventi finalizzati a conservare l’immobile ed assicurarne la funzionalità per mezzo di opere che, rispettando gli elementi tipologici, formali e strutturali, ne consentono destinazioni d’uso con esso compatibili.
Tali interventi comprendono il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dall’uso e l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.
Il restauro è un intervento di recupero che si applica solo agli edifici di valore storico-artistico. Permette di apportare modifiche alla struttura ma non di alterarne la volumetria.
Il risanamento conservativo si applica quando occorre recuperare gli aspetti funzionali, statici ed igienici dell’edificio. Permette di modificare struttura e planimetria.
Gli interventi di restauro e risanamento conservativo non riguardanti le opere strutturali ricadono in CILA. Quelli riguardanti le opere strutturali richiedono la Segnalazione Certificata Inizio Attività. (SCIA).
Le spese si detraggono
Il recupero di questi edifici può essere classificato come intervento di manutenzione straordinaria, se non c’è un cambio di destinazione d’uso; altrimenti rientra tra le opere di restauro e di risanamento conservativo.
In entrambi i casi, le spese si possono detrarre grazie al bonus edilizia, valido fino al 31/12/2019. Tale agevolazione consiste in una detrazione dall’Irpef del 50% della spesa sostenuta (limite massimo detraibile 96.000 euro), che viene ripartita in 10 quote annuali di pari importo. In certe condizioni, la detrazione è prevista anche per chi acquista fabbricati ad uso abitativo già ristrutturati.
Non è possibile, in genere, usufruire dell’ecobonus del 65% per il risparmio energetico, in quanto non sussiste la condizione primaria che è quella di “sostituzione dell’impianto di riscaldamento”. Tali fabbricati, infatti, ne sono spesso sprovvisti. Ma se ne può godere per le schermature solari e, talvolta, per la copertura.
Per informazioni tecniche è sempre necessario rivolgersi al Comune dove è situato l’immobile.
Quali problemi affrontare?
Sicuramente è necessario informarsi bene per conoscere a fondo la normativa che disciplina questo tipo di intervento e che varia da regione a regione. Non è raro, infatti, che siano stati redatti regolamenti locali specifici proprio per tutelare gli edifici tipici. Talvolta sono previsti anche incentivi da parte di enti locali che favoriscono la ristrutturazione ed il recupero di questi fabbricati dismessi.
Entrando nello specifico, dal punto di vista operativo, quasi sempre è necessario intervenire sulla copertura e, con opere di consolidamento statico, anche sulla muratura. Di frequente, quest’ultima è anche interessata da problemi di umidità di risalita, che vanno risolti alla radice.
Naturalmente, gli interni vanno adattati per essere trasformati in spazi domestici, con tutta la dotazione tecnica degli impianti.
Recuperare edifici rurali: da un sogno ad un’opportunità economica
Abitazione rurale tipica del Trentino Alto Adige, spesso il maso consisteva in un fienile, una stalla o una piccola stanza adibita alla cottura dei cibi ed alla preparazione del formaggio, tutto in un unico edificio. Talvolta il fienile e la stalla erano costruiti a parte.
I masi non presentano uno stile di costruzione omogeneo ma variabile in base alle zone. Così anche l’impiego dei materiali: prevalentemente legno nelle valli ricche di foreste; legno e muratura laddove l’apporto di pietra e calce non era particolarmente difficoltoso.
Il maso e la normativa
Sono i singoli Comuni della provincia di Trento a regolamentare, in materia edilizia, gli interventi su questi centri storici.
Poiché la ristrutturazione di un maso è paragonabile a quella di una casa standard, oltre gli incentivi fiscali statali, possono essere previsti quelli relativi all’insediamento in comuni montani.
I Comuni possono concedere a coloro che trasferiscono la loro residenza e la loro dimora abituale, nonché la propria attività, in una delle località indicate nel regolamento di esecuzione, impegnandosi a mantenerle nella medesima per almeno dieci anni, le seguenti agevolazioni:
- Un premio di insediamento corrispondente al 70% della spesa sostenuta per il trasferimento, ivi compresa quella relativa al trasloco ed agli allacciamenti di telefono, gas ed elettricità.
- Un contributo a fondo perduto, fino al 15% della spesa ammessa, per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di immobili da destinarsi a prima abitazione.
Vi sono poi altre misura relative agli interventi per il recupero del patrimonio edilizio montano. Ad esempio, la legge dispone che, ai fini della protezione e della riqualificazione dei beni culturali ed ambientali propri del territorio montano e del recupero dei fini abitativi, anche non permanenti, del patrimonio di edifici minori, individuati ai sensi dell’articolo 24 bis della legge provinciale 5 settembre 1991, n°22, i Comuni possono concedere contributi nella misura del 30% massimo della spesa ammessa, a favore dei proprietari.
La cascina, tipologia edilizia molto diffusa, nata con vocazione rurale
Si trova nella Pianura Padana Lombarda, in Piemonte ed in Emilia Romagna.
Al tempo ospitavano grandi fattorie e quindi si trattava di corpi edilizi importanti che comprendevano stalle, fienili, granai, pozzi e fontane. Oggi questo patrimonio edilizio esiste ancora in molti luoghi ed in parte è in stato di abbandono.
Il recupero di una cascina impone una pratica amministrativa elaborata che scoraggia i proprietari; non solo il progetto di ristrutturazione è complesso anche perché la concessione edilizia, per esempio per aprire un’attività nella cascina, passa dallo Sportello Unico per le Attività produttive, la stessa che deve intraprendere un imprenditore che vuole avviare un’impresa industriale.
Il casale, tipologia edilizia diffusa nell’area centrale dell’Italia
Casa rurale in campagna senza mura di protezione, è una tipologia edilizia diffusa in Toscana, Umbria e Puglia, dove la sua costruzione risale al periodo medievale.
A differenza della cascina, la sua origine era a scopo abitativo e non legata ad attività agricola.
Anche in questo caso, il costo per una ristrutturazione-tipo è difficile da definire e dipende dagli interventi necessari e dalla finiture scelte, oltre che dalla dimensione del lotto. I nostri esperti saranno in grado di farvi un preventivo adeguato alle vostre esigenze.
Per quanto riguarda la normativa da seguire, ogni Comune ha un proprio regolamento edilizio in cui vengono dettate le linee guida per il tipo di restauro.
La maggior difficoltà, intervenendo su questi beni, sta nel riuscire a mantenere l’artigianalità nelle lavorazioni.
Lo stazzo, casa di pietra avente una struttura particolare
All’interno è composta da una sequenza lineare di stanze singole ciascuna aperta sull’esterno, separate da muri chiusi e con copertura a doppia falda.
In Gallura, lo stazzo era l’insieme del podere agricolo e della casa con un’economia praticamente chiusa ed avente solo una sorta di scambio dei beni con gli stazzi vicini.
Gli stazzi oggi sono identificati dal Piano Paesaggistico Regionale della Sardegna come beni paesaggistici e pertanto soggetti a vincolo di tutela. La ristrutturazione quindi deve avvenire nel massimo rispetto della tipicità architettonica dell’immobile, preservando forme e materiali originali.
La difficoltà tecnica maggiore è quella di bloccare la risalita di umidità delle murature portanti in granito a contatto con il terreno. Un’altra difficoltà è l’instabilità della muratura portante che richiede di agire con la tecnica del cuci e scuci per ripristinare le parti deboli e consolidare la struttura con cordoli perimetrali in cemento armato, diligentemente nascosti all’interno della muratura stessa.
Il trullo, struttura in pietra a secco
Il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale della Puglia, il PPTR, nella sezione dedicata alle strutture in pietra a secco, ne dà una definizione chiara: “sono segni puntiformi, isolati o aggregati, con carattere in genere cellulare”. Si presentano come moduli plani-volumetrici coperti da una falsa cupola e contenenti un vano interno accessibile da un’unica porta.
Nati come depositi per attrezzi agricoli, stalle, ricoveri temporanei e, raramente, come residenze permanenti, i trulli sono costruiti con conci di pietra disposti seguendo geometri coniche o piramidali e si trovano sia singoli che aggregati tra loro, a formare piccole o medie comunità.
Distribuiti in tutta la Puglia, nel passato, una volta dismessi venivano abbattuti. Oggi invece vengono valorizzati attraverso interventi di recupero filologici, perché così obbliga la normativa e trasformati in originali residenze.
Trulli: normativa e sicurezza
La Puglia ha un piano paesaggistico che tutela i trulli, equiparandoli a manufatti vincolati. Bisogna quindi rivolgersi alla Soprintendenza per ottenere il parere sul progetto che deve essere redatto seguendo le linee guida specifiche, definite nel PPTR della Regione Puglia.
Per la struttura si chiede di:
- Conservare i caratteri tipologici ed architettonici del manufatto;
- Impiegare esclusivamente tecniche e materiali tradizionali, secondo la cultura materiale della costruzione in pietra e secco della Puglia, tenendo conto delle specificità locali;
- Escludere l’uso dei materiali diversi dalla pietra, evitando pietra lavorata industrialmente e di calcestruzzo, anche per le parti non a vista;
- Integrare parti mancanti o deteriorate secondo criteri di conformità con l’esistente;
- Escludere le sigillature dei giunti dei parametri murari;
- Procedere per parti di estensione limitata, per poter conservare in sito la materia e la forma dell’oggetto.
E’ consigliato perciò procedere col metodo del cuci e scuci operando, per quanto possibile, su tratti alterni per conservare inalterati i profili e gli altri aspetti morfologici.
Per rivestimenti e finiture, si devo escludere l’uso di ceramiche, marmi colorati, mattoni di cemento.
Nel caso in cui sono presenti i pavimenti antichi, questi devono essere restaurati e, nelle zone degradate, integrati con elementi in pietra della stessa natura.
Si ritiene quindi irrinunciabile il recupero della tradizionale tecnica dello scialbo bianco di calce.
Il dammuso, particolare tipologia architettonica siciliana
Presenti soprattutto sull’isola di Pantelleria ed in altre parti della Sicilia, i dammusi rappresentano una particolare tipologia architettonica molto caratterizzante per l’isola.
E’ il Piano Regolatore Generale del Comune di Pantelleria a tracciare i punti fermi di questa tipologia: “modesta abitazione contadina, priva di servizi igienici all’interno. Altri elementi caratterizzanti sono le stalle, i magazzini, U Sardune e i giardini panteschi”.
Analogamente alle altre tipologie rurali, dunque, anche i dammusi hanno un’origine “modesta” . Ma proprio perché simbolo della storia dell’isola, vivono un percorso di valorizzazione che porta gli interventi a rispettarne le caratteristiche principali, per trasformarne la funzione ed inaugurare una loro nuova vita nel settore turistico. I dammusi ristrutturati oggi sono soprattutto indirizzi per vacanze.
Il dammuso: la normativa
Il recupero del patrimonio edilizio esistente può essere eseguito per tutti quei fabbricati per i quali esiste una testimonianza storico-catastale che ne dimostri la sua esistenza e per tutti quei fabbricati per i quali risulta dimostrata la regolarità sotto l’aspetto urbanistico.
Dalle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Pantelleria e Provincia di Trapani, ecco alcuni punti sulla ristrutturazione di un dammuso:
- Tali strutture possono mantenere destinazione residenziale anche se non raggiungono i requisiti di superficie ed aero-illuminati.
- Nei dammusi coperti vanno conservate le strutture a volta. Sono ammesse demolizioni e ricostruzioni delle volte solo in presenza di una perizia di un tecnico strutturista che dichiari l’impossibilità del recupero con semplici opere di consolidamento, corredando la richiesta con i calcoli di verifica statica.
- Per i dammusi senza necessità di demolizione e ricostruzione, le finestre potranno avere una superficie non inferiore a 1/16 della superficie calpestabile e di forma quadrata;
- È vietato suddividere con tramezzatura i vani esistenti coperti a volta, salvo che per le volte a botte;
- Se per motivi statici risulta necessario demolire e ricostruire la copertura, la stessa dovrà essere ricostruita dotando di volta ogni vano.